Giulietto e la Caritas

Una scommessa comune sulla fine del capitalismo

Non c’è niente di peggio di quando un vecchio comunista, che mai rinuncerà alla sue sicurezze ideologiche, beato lui, sia ciononostante obbligato a confrontarsi con i sistemi consolidati delle democrazie liberali. Giulietto Chiesa è il drammatico esempio del cortocircuito che si crea. Ne viene danneggiata persino la percezione della realtà. Al programma Rai “Agorà” di lunedì scorso, Chiesa nemmeno si è accorto di come i “black bloc” di Roma abbiano avuto il sopravvento sulla maggioranza dei manifestanti. Eppure nella storia le minoranze violente hanno spesso avuto la meglio su masse pacifiche. In Russia nel 1917 i soldati e i contadini volevano la pace e si ritrovarono la dittatura leninista. Sabato scorso vai a spiegare che si protestava per “non pagare il debito”. Il messaggio è stato: “Devastiamo tutto”. Se, nonostante Giulietto Chiesa, la massa dei manifestanti comprendesse di essere stata monopolizzata, non è detto che si riverserebbe nuovamente nelle piazze per un altro appuntamento. Chissà se già non sia iniziato il riflusso. Chiesa resta invece convinto che sia indecente risanare le banche pubbliche fallite. Nozioni liberali mal assortite le sue: i soldi nelle banche sono quelle dei risparmiatori comuni, e, se non si paga il debito e non si salvano le banche, si prepara un destino di miseria. A sostegno del vecchio comunista è accorsa la Caritas, per la quale otto milioni di italiani vivrebbero sotto la soglia di povertà. Perché ci sacrifichiamo ancora se già siamo ridotti all’elemosina? Solo che, prima di strapparci le vesti, la Caritas dovrebbe dirci come ha fissato una soglia di povertà così ampia. Non vorremmo che si volesse solo onorare una scommessa sulla fine del capitalismo.

Roma, 17 ottobre 2011